Gesuiti
Jesuit Social Network
Rete delle attività sociali promosse dalla Provincia Euro-Mediterranea dei gesuiti
JSN Detenzione In loro memoria….

In loro memoria….

Nella cosiddetta rotonda del 3° piano nel carcere della Dozza, proprio sulla parete dietro la scrivania in cui siedono gli agenti che controllano le quattro sezioni, è malamente fissata con dell’adesivo trasparente una fotocopia in cui sono ritratti Falcone e Borsellino nell’immagine diventata ormai famosa in tutti questi anni. Non si nota molto sulla parete grigia, cosi impallidita nei contrasti come appare con il trascorrere del tempo.

Non ricordo quando la notai per la prima volta; forse c’era già quando incominciai nel 1998 ad andare ogni sabato nella sezione 3°B. So che ad un certo punto, forse mentre aspettavo che l’agente di turno riportasse il mio nome sul registro delle presenze, il mio sguardo è stato catturato da questa immagine proprio per la “straordinarietà” della sua collocazione.

Naturalmente non so chi l’ha attaccata, nemmeno l’ho mai chiesto, quasi avvertendo che mi sarei incamminata su un terreno minato su cui ho imparato con il tempo a procedere con molta attenzione e delicatezza. Immagino sia stato uno o forse più agenti, spinti dalla loro coscienza civica, dall’emozione del momento per le due stragi, forse dalla rabbia, forse per il senso d’impotenza o di ineluttabilità che avvertivano rispetto a certi fatti. Certamente l’hanno vista anche tutti gli altri volontari, gli educatori, i ministri di culto, i magistrati e soprattutto gli inquilini di questo piano, in particolar modo quelli delle sezioni A e B.

La “straordinarietà” di questa immagine attaccata al muro è che a questo piano sono detenuti coloro i quali si sono macchiati di reati di mafia o di associazione di stampo mafioso. Piccoli pesci rispetto alle grandi organizzazioni criminali, definiti nel gergo tecnico di media sicurezza, lontani dai Riina detenuti nelle carceri di massima sicurezza. Eppure si avverte, sotterranea ma resistente, mai cancellata o rinnegata, una certa mentalità mafiosa difficile da contrastare perché strettamente connessa all’umanità di chi la manifesta, alla sofferenza di chi per primo ne è vittima.

Più volte mi sono domandata se mi ponevo con la giusta coscienza nei confronti di queste persone che incontro settimanalmente. Mai tocchiamo argomenti esplicitamente riferiti al fenomeno mafioso. Solo due volte in tutti questi anni mi sono concessa il “lusso” di farlo: la prima volta mi è stata detta la classica frase “la mafia non esiste!” e la seconda con rabbia mi è stato detto che Don Ciotti è un delinquente che sfrutta la mafia per i propri interessi. Ho colto tutta la mia difficoltà ad interagire con una mentalità che si è infiltrata nelle fibre di questi poveri esseri umani, prima di tutto schiavi di un pensiero che li inchioda all’impossibilità di un riscatto profondo.

Anche oggi, come ogni sabato, alle 14.30 arriverò nella rotonda del 3° piano e più di ogni altra volta sentirò lo sguardo di Falcone e Borsellino rivolto su di me, anche se in realtà nella foto sembrano non curarsi di chi sta loro intorno. Ma oggi è una giornata speciale, è la giornata del ricordo del loro sacrificio, insieme a quello di tanti altri, uccisi per mano della mafia.

Entrerò nella saletta in cui incontrerò una decina di persone che, forse per caso o per mancanza di alternative, per curiosità o un inconfessabile desiderio di cambiare registro, hanno scelto di rinunciare all’aria per parlare, confrontarsi, esprimere pensieri, dar voce ad un io interiore che fatica ad esprimersi.

Ho deciso che non farò alcun riferimento esplicito ai fatti che si commemorano oggi, ma sentirò ancora più forte dentro di me l’imperativo di offrire loro un pensiero critico, il più lontano possibile dalle logiche schiaccianti e perdenti che li pervadono.

Mi rimarrà certamente il dubbio di non fare abbastanza, di non aver scelto la strada più coraggiosa. Mi terrò dentro questo cruccio, questo senso di inadeguatezza e lo condivido con voi, convinta che solo superando la solitudine delle proprie battaglie, si traccia un solco.

Paola Piazzi

 

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