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JSN Minori La libertà della responsabilità. Lettera aperta al Presidente della Repubblica Italiana

La libertà della responsabilità. Lettera aperta al Presidente della Repubblica Italiana

Uno dei ragazzi che ha partecipato la scorsa estate al corso realizzato dal JSN sulla giustizia a Selva di Val Gardena ha voluto condividere con noi il frutto delle sue riflessioni sulla situazione attuale vista dagli occhi di un giovane. Il percorso di Selva ha costituito parte di questo percorso personale che ha voluto esprimere sottoforma di lettera al Presidente Napolitano. Lettera che è poi stata effettivamente spedita al Presidente della Repubblica. D’accordo con lui abbiamo pensato di condividere la lettera all’interno della rete, come contributo alla lettura del contesto frutto di un percorso avviato con il mondo giovanile.

Ill.mo Presidente della Repubblica Italiana On. Giorgio Napolitano,

sono un giovane ingegnere con esperienza internazionale di diversi anni nell’ambito della ricerca. Cercando lavoro in Italia, come ricercatore o come professionista, ho incontrato molte difficoltà.

Eppure so di vivere in un Paese con grandi possibilità di sviluppo e ottime risorse culturali. Come si può spiegare allora questa crisi del mercato del lavoro? Da quando sono nato ad oggi il livello di benessere sociale è andato crescendo, le possibilità per la nostra generazione sono straordinarie come potenzialità tecnologiche, opportunità culturali e di conoscenza. Ma le notizie ci dicono che “c’è la crisi”, che questa Italia non regge il passo, e che neppure l’Europa ora ce la fa più. Allora bisogna fare riforme, bisogna tagliare le spese dello Stato, bisogna rilanciare l’economia, fare crescere il PIL, cambiare, crescere, produrre.

Dobbiamo lavorare di più, imparare ad essere flessibili, accettare una instabilità, precarietà, insicurezza sociale sempre più totalizzante. Dobbiamo accettare contratti al limite dello sfruttamento, sbilanciati, asfissianti, che ci negano una condizione di vita che i nostri genitori definirebbero “normale”. Una casa, una famiglia, una lavoro, qualche passione da coltivare.

Queste situazioni diventano sempre più insostenibili, troppe persone hanno scelto di non vivere più, perché arrese e inermi di fronte all’impossibilità di trovare un impiego o ad un licenziamento. E con loro sono tante le persone senza impiego, troppe. Non è più possibile accettare questo divario sociale, numericamente insostenibile, eticamente intollerabile.

In nome di cosa tutto questo? Ad ascoltare chi prende le decisioni e detiene il potere politico sembrerebbe che tutto questo sia a favore della libertà. L’uomo è libero e questo gli conferisce la sua propria dignità. Libero di scegliere cosa fare di sé, della sua vita, del mondo. Siamo sicuri? Non stiamo esagerando? La libertà è un valore, ma deve essere anche una libertà rispettosa e discreta. Rispettosa della libertà del prossimo, ed anche di chi verrà dopo di noi.

Sorge quindi il dubbio che la lettura di libertà politica sia piuttosto un liberalismo volto a dare la possibilità di “fare quello che si vuole” senza limiti, senza regole, senza più neppure ritegno.

Essere liberi dovrebbe essere uno stato propositivo. In quanto libero posso scegliere attivamente e creativamente di costruire la mia vita affinché questa porti un risultato utile e visibile per me, per i miei cari e magari anche per la società. Questa è una grande ricchezza potenziale, ma di fatto rappresenta una forte responsabilità. E invece troppo spesso ascoltando le notizie, leggendo i giornali, sembra proprio di leggere fra le righe che quello che si va cercando è una libertà dalla responsabilità, una libertà dall’impegno.

Scegliere ed essere responsabili è impegnativo. La libertà, quella vera, costa fatica. Ed invece oggi ci viene preconfezionata una libertà di plastica, una libertà della leggerezza, una libertà di deresponsabilizzazione totale: posso fare quello che voglio, sempre.

E’ sempre più difficile, anche perché non è più visto come un valore, fare scelte che creino dei vincoli, degli impegni, delle responsabilità. Alcuni esempi? Un matrimonio, che è per sempre. Dei figli, che dobbiamo poi sapere crescere ed educare. Una attività di volontariato, dove persone contano su di noi. Sono scelte libere, ma che “impegnano la nostra libertà”. Siamo liberi di scegliere, ma poi quando abbiamo scelto dobbiamo onorare la nostra scelta libera. Ed invece la società spinge verso una assolutizzazione della libertà sempre e comunque, una libertà che non viene minimamente intaccata dalle scelte, una libertà che rivendica il diritto di godere di tutto senza vincoli, potendo sempre tornare sui propri passi. Questa non è libertà, questa è folle costante frenetica corsa verso il piacere dell’appagamento immediato e senza regole.

Mi chiedo allora se sia giusto che queste regole non siano presenti e forti in uno stato che, a mio parere, ha tra le funzioni principali, quella di tutelare la libertà di tutti i suoi cittadini. Libertà come diritto. Libertà di studiare, di ricevere cure, di avere un lavoro, una casa e una famiglia. Per garantire questo tipo di libertà, di fatto, la libertà del “faccio quello che voglio” deve essere limitata da un istituzione che altro non può essere che lo Stato. Deve trattarsi di una limitazione funzionale all’equità sociale, parametro che stiamo un po’ perdendo di vista.

Non è più possibile continuare ad accettare che, in nome della libertà, la società venga deviata verso un moderno far-west, verso una nuova “legge del più forte” dove la forza non è più quella fisica ma è quella del potere economico-finanziario, altrettanto animalesca e violenta. La libertà sembra essere una condizione resa possibile dal potere, ed il potere esiste per chi ha la ricchezza. Libertà di trarre profitto ad ogni costo. Libertà di usare i soldi dello Stato per i propri interessi personali. Libertà di usare a proprio piacere delle persone, sfruttandole come oggetti, come abbiamo già visto fare purtroppo troppo spesso a diverse figure politiche di rilievo. E ancora, libertà di sfuggire a processi e relative pene giudiziarie semplicemente trovando stratagemmi per ritardare il corso della giustizia e far cadere in prescrizione i relativi reati, infangando il nome, la dignità e la reputazione del nostro Paese. Prescrizione che in base alle finalità per cui fu istituita dovrebbe evitare di sprecare risorse dello Stato quando viene meno l’interesse dello Stato e della società, essendo passato molto tempo dai fatti contestati. Ma nei casi di così eclatante importanza politica mi pare evidente che un diverso approccio sarebbe auspicabile, se non addirittura necessario, in quanto direi che difficilmente viene meno l’interesse di tutte le parti di porre giustizia. Altrimenti si tende a giustificare, se non addirittura a incentivare, comportamenti contro la legalità.

Penso davvero che non possiamo più sottostare a tutto questo, che non è accettabile azzoppare la dignità umana e quindi la sua libertà in nome di questa libertà fasulla di pochi, una libertà oligarchica, una democrazia malata di un regime totalitario mascherato e subdolo.

Chiedo quindi a Lei in quanto rappresentate e garante del rispetto della nostra stupenda Costituzione e ancora in senso più ampio della dignità e rispettabilità dell’uomo e della nostra Nazione di farsi carico di stimolare scelte politiche e sociali volte alla responsabilizzazione della libertà, in una direzione di equità, di correttezza, di maggiore forza dello Stato.

Penso anche a come sia inevitabilmente necessario porsi oggi in una nuova ottica dello sviluppo, che non deve e non può essere più quella della crescita continua e smisurata della produzione. E a ben guardare questa ottica non è che sia poi tanto innovativa. Se ci fermiamo un attimo a riflettere è facile rendersi conto di come le precedenti generazioni hanno sviluppato nuove conoscenze e tecnologie con un fine ultimo molto chiaro che era quello di ottenere una migliore qualità della vita.

Poi però questo obiettivo si è un po’ perso di vista, vittima dell’avidità del poter sempre fare qualcosa in più. E così i potenti mezzi tecnici e tecnologici non sono stati più uno strumento per poter impiegare meno tempo a fare le stesse cose, per poter avere più tranquillità, più tempo libero da investire nelle relazioni, nella crescita personale. Tutto è diventato strumento di avida crescita economica, di incremento frenetico e dissennato della produzione. E così il beneficio di maggior rilassatezza, di maggiore tranquillità, per cui sono stati cercati ed ottenuti i passi del progresso, si è perso completamente.

Mi domando come potremo ancora andare avanti a valutare la forza, la ricchezza, il valore di un paese dal suo PIL. Ben altri sarebbero, a mio modo di vedere, i parametri da considerare. La ricchezza, la solidità, l’equità del tessuto sociale, innanzitutto. La conoscenza, l’accesso alle risorse ed ai servizi per tutti. E ancora la cultura, la sanità e così via.

Per ottenere questo però è indubbio che un sacrificio deve essere fatto. Ed è il sacrificio del profitto. Ciò che è servizio tale deve rimanere. E per poterlo essere deve essere pubblico, ovvero di tutti. Ma al tempo stesso una nuova cultura di rispetto profondo e vero per ciò che è di tutti deve essere formata e diffusa tra i cittadini. Ed allora sì che investire nell’istruzione e nella sanità, nella ricerca e nel sociale saranno le risorse più grandi che renderanno il nostro paese e tutti quelli del mondo un passo in avanti verso ciò che davvero ci può migliorare e rendere ancora più “umani”.

Ed ancora una volta mi trovo a chiederLe di impegnarsi a tutelare i servizi, a far sì che restino pubblici, a limitare le speculazioni delle privatizzazioni.

Se sapremo fare questo, se impareremo ad essere meno avidi, se avremo il coraggio come Stato e come singole persone di limitare l’avida egoista libertà di fare quello che ci pare, potremo nutrire e fare maturare a poco a poco questa indispensabile libertà della responsabilità.

Le chiedo di avere quindi coraggio e forza per portare avanti ciò che l’uomo in millenni di storia ha iniziato e a poco a poco realizzato, senza cedere alle lusinghe di scelte che appaiono più facili, ma che alla lunga non porteranno a nessuno dei risultati promessi e desiderati.

 

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